In memoriam: Addio Tabucchi il nostro agente a Lisbona

Morto a 68 anni nella sua seconda patria Aveva fatto conoscere all'Italia il grande Pessoa, Sostiene Pereira gli diede la fama internazionale

MARIO BAUDINO




Il testo non è recente, ma è rimasto inedito a lungo; Antonio Tabucchi lo ha pubblicato solo lo scorso anno nella raccolta Racconti con figure (Sellerio). Si intitola È arrivato il dottor Pereira, consta di una breve paginetta che commenta un ritratto del suo personaggio più famoso inviatogli dal pittore Giancarlo Vitali. Apre il plico e subito immagina una schermaglia infinita: «Veramente è lei che mi ha chiamato! No, ma cosa dice, mi ha chiamato prima lei». In termini letterari, e non solo, è quanto di più simile si possa immaginare a un autoritratto, perché lo scrittore, morto a 68 anni in un ospedale di Lisbona dov'era ricoverato per una malattia che da tempo lo tormentava, era nello stesso tempo un uomo difficile, ben più dei suoi personaggi, e umanissimo, capace di indignazioni terribili e di dolcezze improvvise: proprio come la sua prosa sempre misurata, sempre levigata e in apparenza priva di spigoli, dove il gioco di specchi e di metafore, l'andirivieni tra simboli e realtà, è però vertiginoso.

Con Sostiene Pereira (uscito nel '94 da Feltrinelli e vincitore nello stesso anno di Campiello e Viareggio), storia di un giornalista portoghese che matura a poco a poco la sua idea di libertà fino alla contrapposizione frontale con la dittatura, Tabucchi ha conseguito la grande notorietà internazionale, e il caso ha voluto che tutto ciò coincidesse con la vittoria elettorale, la prima, di Silvio Berlusconi. Il libro è diventato una metafora a sua volta, e ha dato l'avvio per lo scrittore a una stagione di feroci polemiche. Ma ribelle e insofferente Tabucchi è sempre stato, fin dall'inizio. Nato a Pisa nel '43, figlio di un commerciante di Vecchiano, cresce in paese nella casa dei nonni, in quella Toscana, come gli piaceva dire, «garibaldina e anarchica», e per nulla medicea. Studia a Pisa, ma appena può scappa in giro per l'Europa. L'Italia gli stava stretta. Dice la leggenda che si rifugiò a Parigi dopo aver visto La dolce vita di Fellini, disgustato non dal film ma da quei borghesi e aristocratici insopportabili narrati dal regista.

La pellicola è del '60, il soggiorno parigino risale ai tempi dell'università, quindi poco dopo. Quel che è certo è che alla Gare de Lyon il futuro scrittore trova un libro che lo segnerà: è il poemaTabacaria , di Fernando Pessoa, firmato con uno degli eteronomi del grande scrittore portoghese, Alvaro de Campos. Grande Pessoa lo era già, ma del tutto sconosciuto in Europa. Sarà Tabucchi a renderlo quel che è oggi, un classico riconosciuto. Folgorato, impara il portoghese e da allora la sua seconda patria, forse la prima, sarà quel Portogallo dove arriva per la prima volta nel '64, proseguendo come spinto dalla mano del destino un viaggio in Fiat 500 che doveva avere come meta Madrid.

Il resto viene da sé. Ai poeti surrealisti portoghesi Tabucchi dedica la sua tesi di laurea (primo libro pubblicato per Einaudi), e a Pessoa molta parte della vita, sposandosi con Maria José di Lancaster (detta Zè), dirigendo per due anni l'Istituto di cultura italiano, e ben presto dividendo il suo tempo, sei mesi di qui sei mesi di là, fra l'Italia e il Portogallo. L'altra città è Parigi, palcoscenico della fase più politicamente battagliera della sia vita. Tabucchi non accettò però la tesi, molto diffusa fra i critici e fatta autorevolmente propria da Angelo Guglielmi, che la sua letteratura si fosse politicizzata e anzi ideologizzata negli Anni 90. Gli piaceva ricordare che il suo primo romanzo,Piazza d'Italia (del '73), era già una controstoria del paese, dall'Unità alla seconda guerra mondiale, la saga di una famiglia di socialisti libertari.

È però nei racconti (a cominciare da Il rovescio e altri racconti , edito dal Saggiatore nell'81, e soprattutto La donna di porto Pim , da Sellerio nell'83) che la sua scrittura trova quelle che potremmo definire le risonanze oscure della realtà, e dove le lezioni del surrealismo e di Pessoa si fondono in una prosa nuova e originale. All'altezza degli Anni 80, Tabucchi è già, pur con qualche distinzione, uno degli autori più importanti nel panorama italiano. Il successo critico arriva con un romanzo, Notturno indiano (1984), ma l'anno seguente con Piccoli equivoci senza importanzaTabucchi scrive i suoi racconti più belli, felpati e terribili, quelli dove la scrittura si interroga sul senso anche politico delle nostre scelte, e anzi sulla possibilità di scegliere nello spazio labirintico che fra reale e immaginario, fra interpretazione e realtà.

Resta lontano, comunque, dall'essere un intellettuale «puro»: insegna all'università letteratura portoghese, pratica ovviamente la critica, ma nello stesso tempo tiene per sé - in parte segreti - ampi spazi di vita. È poco noto, ad esempio, che si è dedicato per anni a una sorta di personale volontariato nei campi nomadi intorno a Firenze. Intanto i suoi libri vanno lontano: Notturno indiano , premiato in Francia col Médicis, diventa un film di Alain Corneau nell'89, Il filo dell'orizzonte (1986) va sugli schermi nel '93 con Claude Brasseur e la regia del portoghese Fernando Lopez. Con Sostiene Pereira - e la pellicola dell'anno seguente girata da Roberto Faenza, protagonista Marcello Mastroianni diventa una figura pubblica, e come tale discussa. Tabucchi contrattacca con foga,a volte con sottile violenza; le sue polemiche sono affilate, i suoi romanzi assumono venature più esplicitamente politiche, come in La testa perduta di Damasceno Monteiroo nello sconsolato Tristano muore .

L'ultimo suo libro organico è però, ancora una volta, di racconti: Il tempo invecchia in fretta , del 2009. Sono nove, bellissime storie i protagonisti delle quali, i vivi e i morti, si guardano e si cercano in un'Europa stanca. Ma dove è sempre possibile un «piccolo equivoco senza importanza», un incontro, una scheggia di senso. Proprio come quando lo scrittore apre un pacco, ed ecco Pereira.








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